SUXHO AL MARIA PIA

29 gennaio 2010

Perché Donald Suxho dovrebbe venire al Maria Pia? Perché proprio lui e non altri?

La risposta – mi sia consentito – è un po’ autoreferenziale e mi permette anche di spiegare le ragioni per cui questo blog si chiama Skanderblog.

Il blog nacque nel lontano ottobre 2006, sul portale Dada, come un diario in cui avrei voluto commentare vicende politiche, aneddoti locali e qualunque altra cosa mi venisse in mente.

La specializzazione pallavolistica venne dopo e per caso.

Skanderbeg è lo pseudonimo che ho usato per fare vignette di satira, pubblicate in rare occasioni su riviste locali e in particolare su Nuovo Dialogo ai tempi di don Franco Mazza, il più coraggioso dei direttori che abbia avuto modo di conoscere. L’unico coraggioso, diciamo pure.

Scelsi questo pseudonimo al ritorno da un viaggio in Albania nel 1993.

Giorgio Castriota Skanderbeg è l’eroe nazionale del paese delle aquile ed è – a mio avviso – una figura “ecumenica”: cresciuto tra i turchi, è stato il principale condottiero che si oppose proprio all’occupazione ottomana divenendo così anche un simbolo della cristianità.

Parliamo del XV secolo.

Paradossalmente oggi la sua figura è il simbolo di un paese a maggioranza musulmana e ne è forse il più grande elemento di unione, che ha saputo superare differenze religiose e periodi politici drammatici ed oscurantisti. Penso, in particolare, alla criminale dittatura comunista, che però lasciò i monumenti di Skanderbeg al proprio posto.

Più volte Giorgio Castriota venne in Italia, sia per organizzare la resistenza agli ottomani in patria che per combattere al fianco di principi alleati.

Quando decisi di utilizzare Skanderbeg come pseudonimo, le sue battaglie mi interessavano poco; quello che mi colpiva di questa figura era soprattutto il ruolo di ponte tra Italia ed Albania, reso perpetuo dalla discendenza degli esuli albanesi che proprio a partire dal XV secolo si stabilirono in alcuni piccoli centri dell’Italia meridionale.

In quasi una cinquantina di essi, prevalentemente in Calabria e in Basilicata, si parla ancora un dialetto che è l’albanese dell’epoca (arbëreshë).

Tra i più noti, Piana degli Albanesi in Sicilia (dove c’è l’eparca), San Benedetto Ullano (dove c’è un ottimo gruppo folk) e Spezzano Albanese (dove ogni anno si tiene il festival della canzone arbëreshë, in cui primeggiano i fratelli Scaravaglione). Arbëreshë è anche Ururi, il paese molisano dove nacque l’ex-ministro Mario Tanassi, ma questo probabilmente non giova all’immagine delle comunità albanofone…

In provincia di Taranto c’è il più grande di questi Comuni, San Marzano di San Giuseppe, l’unico del nostro territorio nel quale si parla ancora l’arbëreshë.

Ma le varie piazze Skanderbeg o scuole Skanderbeg nei Comuni limitrofi (come Faggiano) sono la traccia di un’origine albanese di quelle località anche se poi San Marzano è l’unica in cui l’idioma illirico ha resistito nei secoli.

“Ben povero è il Paese che conta una sola razza e una sola lingua” – disse Santo Stefano d’Ungheria.

La cultura arbëreshë è dunque una ricchezza della nostra terra e per questo ho pensato di onorarla con la scelta di questo pseudonimo (che fra l’altro suona bene).

Quando l’ho scelto, inoltre, nel 1993, era ancora il “periodo delle navi”, che scaricavano sui moli della Puglia migliaia di albanesi, non più nobili condottieri o esuli in fuga da occupazioni straniere, ma semplici persone in cerca di opportunità di vita migliori rispetto a quelle a cui le aveva costrette un regime tanto folle quanto crudele. Un’esigenza verso cui un Paese di emigranti come il nostro non dovrebbe restare indifferente.

I Balcani sono complessi e gli ultimi decenni hanno posto in risalto questioni controverse come quella del Kosovo, in cui ritengo che a dover essere tutelata dalla prevaricazione e dalla violenza sia oggi la minoranza serba e non già (non più) la maggioranza albanese, ma qui il discorso si allarga troppo.

Torniamo a Donald Suxho.

Il palleggiatore della Prisma gioca nella nazionale statunitense, ma è nato in Albania, un Paese che non gode di grandi tradizioni in questo sport. In nessuno sport, veramente…

Gli Stati Uniti gli hanno offerto un’opportunità di realizzazione personale e lo hanno lanciato ai vertici della pallavolo mondiale.

Oggi Suxho è uno dei palleggiatori più forti del mondo e vederlo giocare al PalaMazzola è effettivamente uno spettacolo.

Il 25 settembre scorso Donald Suxho ha incontrato negli uffici dell’Amministrazione Provinciale alcuni rappresentanti della comunità arbëreshë di San Marzano.

Un bel gesto. La Prisma si è assicurata nuovi tifosi e Suxho si sente più a casa. Anche questo è il bello delle minoranze.

Se poi Suxho troverà il tempo di visitare San Marzano sarà colpito dalla toponomastica, dai monumenti e dai richiami alle origini illiriche di quel Comune.

Se si siederà su una panchina di piazza Milite Ignoto, affianco a un gruppo di anziani, sarà sorpreso nell’ascoltare l’albanese di mezzo millennio fa.

Un po’ come se noi andassimo, chessò, in Olanda e sentissimo parlare l’italiano dei tempi di Lorenzo de’ Medici.

Il tuffo di Suxho nelle proprie origini, però, non è completo se non viene al Maria Pia a sostenere una squadra che, pur priva di alcun legame etnico o linguistico con l’Albania, ha dedicato un blog all’eroe nazionale della sua terra…


I GRANDI QUESITI DELL’UMANITA’ – 26

8 gennaio 2010

Uno dei giocatori più amati della nuova Prisma di serie A1 è sicuramente il martello brasiliano Cleber de Oliveira. E’ forte tecnicamente, è grintoso ed è un trascinatore; non ci ha messo molto a diventare un beniamino dei tifosi.

Ha anche un’aria particolarmente simpatica. Se non fosse per la statura, guardandolo non penseresti a un giocatore di pallavolo ma piuttosto a un amicone con cui scambiare barzellette in un’osteria.

Ma c’è un altro aspetto di Cleber che salta all’occhio. Per coglierlo bisogna leggere i quotidiani locali. La carrellata di immagini qui sotto è tratta dal Corriere del Giorno e dalla Gazzetta del Mezzogiorno.

Il quesito è presto detto: sarà mai possibile trovare sui giornali una foto di Cleber senza la lingua da fuori?

Attacco, muro, ricezione… quale che sia il fondamentale, Cleber ha sempre la lingua da fuori. Partita, allenamento, maglia rossa, maglia blu… la lingua è sempre all’aria aperta.

La mia domanda, però, ha finalmente trovato una risposta sulla Gazzetta di qualche giorno fa (28 dicembre scorso).

Come vedete, la lingua è al suo posto. Peccato che l’evento sia stato guastato dal titolo più sputtanato nel mondo dello sport: il famigerato “buona la prima”…

Ma se il riferimento è alla posizione della lingua del martello brasiliano, il “buona la prima” questa volta ci può stare…

L’argomento della Prisma rappresenta l’occasione gradita per salutare gli amici dell’Armata Jonica.